L’ESITO DEL PROCESSO PENALE: LE FORMULE ASSOLUTORIE
La Cass. Pen. n. 2548/2015 sottolinea la circostanza in cui il giudice dovrà pronunciare sentenza di condanna ritenendo che “la regola di giudizio compendiata nella formula al di là di...
L’art 656 del Codice Penale prevede: “Chiunque pubblica o diffonde notizie false, esagerate o tendenziose, per le quali possa essere turbato l’ordine pubblico, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a trecentonove euro.”
Per notizia, chiaramente, deve intendersi un annuncio o un’informazione (o comunque uno scritto) dal contenuto specifico e preciso, escludendo le affermazioni generiche, vaghe ovvero riferibili a dicerie o voci di popolo.
Tenuto conto che il reato di pubblicazione o diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose, è un reato di mero pericolo, non conta che dal fatto commesso non si sia verificato alcun turbamento dell’ordine pubblico, essendo sufficiente di per sé l’eventualità che suddetto turbamento possa originarsi, come ribadito dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 9475/96.
La Corte costituzionale con la sentenza n. 19/62 ha affermato che l’espressione «notizie false, esagerate e tendenziose» va interpretata come “una forma di endiadi, con la quale il legislatore si è proposto di abbracciare ogni specie di notizie che, in qualche modo, rappresentino la realtà in modo alterato”, in particolare, ha chiarito che le “notizie tendenziose” sono quelle che, pur sostenendo circostanze veritiere, le espongano, però, in modo che chi le recepisce possa ricavare una rappresentazione alterata della realtà (perché sono riferiti solo alcuni degli accadimenti occorsi, ovvero perché si crea confusione tra notizia e commento). In ordine all’elemento soggettivo, la contravvenzione è punibile sia a titolo di dolo che di colpa: pertanto, non appare assolutamente necessario che l’agente sia stato pienamente consapevole della non veridicità della notizia, ove l’abbia ignorata per mera colpa.
Orbene, già nella seconda metà del 2017 è stato presentato un disegno di legge finalizzato alla modifica dell’art. 656 c.p., affinché il reato venga considerato come delitto e non come contravvenzione, prevedendo una pena differente e più afflittiva ovvero la reclusione da 3 mesi a 5 anni, con aumento della stessa (pena aumentata fino a un terzo, ex art. 64 c.p.) in caso la divulgazione non veritiera avvenga con scopo di lucro, o riguardi atti di violenza a sfondo razziale, sessuale o di natura discriminatoria.
Inoltre, rispetto alla normativa vigente, la proposta di legge aggiunge, tra le modalità della condotta l’utilizzo della rete telefonica, di strumenti telematici o informatici (il tutto col preciso intento di contrastare il fenomeno delle c.d. fake news) che possano non solo turbare l’ordine pubblico, ma anche arrecare un danno ingiusto alle persone.
Pertanto, nell’ipotesi in cui dovesse essere riformato l’art. 656 del Codice Penale, ci troveremmo di fronte una fattispecie criminosa sostanzialmente nuova, con pene più aspre articolazioni ed ambiti di applicazione ampliati e molto più estesi, in cui si assisterà ad una maggiore collaborazione del Provider (“Azienda di servizi che dispone di computer costantemente connessi ad Internet tramite linee speciali: ad essi, attraverso una normale linea telefonica e un modem, si possono collegare gli utenti abbonati, avendo così accesso alla rete”, Wikipedia) con le autorità competenti, essendo tenuto ad informare l’autorità giudiziaria/amministrativa di presunte attività o informazioni illecite riguardanti un suo destinatario del servizio Internet ovvero fornire senza indugio, a richiesta delle autorità competenti, le informazioni in suo possesso che favoriscano l’identificazione del destinatario dei suoi servizi con il quale ha accordi di memorizzazione dei dati, per individuare e prevenire attività criminose.
Avv. Flavio Falchi