Il mondo delle criptovalute, tra cui il più noto Bitcoin, ha suscitato crescente interesse e ha generato una serie di questioni riguardanti la sua regolamentazione e le implicazioni giuridiche. In Italia, come in molti altri paesi, le autorità competenti hanno cercato di adattare la normativa esistente per affrontare questa nuova forma di valuta digitale.

In Italia, la normativa relativa alle criptovalute si basa principalmente sulla direttiva europea anti-riciclaggio (AML) e sulle disposizioni del codice civile italiano. Nel 2017, è stata introdotta una regolamentazione specifica attraverso il Decreto Legislativo n. 90/2017, che ha implementato la direttiva UE AML (anti-riciclaggio) nella legislazione nazionale. Questa normativa ha esteso le regole anti-riciclaggio e di identificazione dei clienti (KYC) alle piattaforme di cambio e alle società di custodia di criptovalute, rendendo necessario che tali entità si registrino presso l’Autorità di vigilanza sui mercati finanziari (CONSOB) e rispettino determinati requisiti operativi.

Inoltre, il Ministero dell’Economia e delle Finanze italiano ha istituito un registro delle società che offrono servizi di scambio e custodia di criptovalute, al fine di garantire la trasparenza e la conformità normativa nel settore.

Per gli utenti e gli operatori del settore delle criptovalute, la normativa italiana ha diverse implicazioni giuridiche da considerare. In primo luogo, le piattaforme di scambio e le società di custodia devono rispettare rigorose norme anti-riciclaggio e di KYC, che includono la verifica dell’identità dei clienti e la segnalazione di transazioni sospette alle autorità competenti.

Inoltre, gli investitori e gli operatori nel settore delle criptovalute devono essere consapevoli delle tasse applicabili alle transazioni con Bitcoin e altre criptovalute. In Italia, le criptovalute sono considerate come attività finanziarie e quindi soggette a tassazione in base alle normative fiscali esistenti. Ad esempio, le plusvalenze derivanti dalla vendita di Bitcoin possono essere soggette a imposte sul reddito o sulle plusvalenze finanziarie, a seconda delle circostanze specifiche del caso.

Art. 1 comma 133 della novella Legge di Bilancio 2023: “…per ciascuna cripto-attività posseduta alla data del 1° gennaio 2023 può essere assunto, in luogo del costo o del valore di acquisto, il valore a tale data, determinato ai sensi dell’articolo 9 del citato testo unico, a condizione che il predetto valore sia assoggettato a un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi nella misura del 14%”.

Avvertenze Banca d’Italia: “Assenza di forme di controllo e vigilanza.
L’emissione e la gestione di valute virtuali, compresa la conversione in moneta tradizionale, sono attività non
soggette a vigilanza da parte della Banca d’Italia né di alcuna altra autorità in Italia.
Assenza di forme di tutela o garanzia delle somme “depositate”.
In caso di condotta fraudolenta, di fallimento o cessazione di attività delle piattaforme di scambio non
esistono tutele normative specifiche atte a coprire le perdite subite. Analogamente, per le somme in valuta
virtuale depositate presso terzi non operano i tradizionali strumenti di tutela, quali i sistemi di garanzia dei
depositi.
Rischi di perdita permanente della moneta a causa di malfunzionamenti, attacchi informatici, smarrimento.
La valuta virtuale archiviata nel “portafoglio elettronico” potrebbe andare persa a seguito di
malfunzionamenti o attacchi informatici; anche in caso di smarrimento della password del portafoglio
elettronico la perdita potrebbe essere permanente, in quanto non esistono autorità centrali che registrano le
password o ne emettono altre sostitutive.
Accettazione su base volontaria.
L’accettazione di valute virtuali da parte dei fornitori di beni e servizi si basa sulla loro discrezionalità e/o su
accordi che possono cessare in qualsiasi momento e senza alcun preavviso. Pertanto, chi detiene somme denominate
in valuta virtuale non ha alcuna certezza di poterle utilizzare per gli scopi programmati.” (fonte: bancaditalia.it)

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