logo mioArt. 341 bis del Codice Penale: “ Chiunque, in luogo pubblico o aperto al pubblico e in presenza di più persone, offende l’onore ed il prestigio di un pubblico ufficiale mentre compie un atto d’ufficio ed a causa o nell’esercizio delle sue funzioni è punito con la reclusione fino a tre anni.

La pena è aumentata se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato. Se la verità del fatto è provata o se per esso l’ufficiale a cui il fatto è attribuito è condannato dopo l’attribuzione del fatto medesimo, l’autore dell’offesa non è punibile.

Ove l’imputato, prima del giudizio, abbia riparato interamente il danno, mediante risarcimento di esso sia nei confronti della persona offesa sia nei confronti dell’ente di appartenenza della medesima, il reato è estinto”.

Dunque, al fine di integrare il reato suddetto, devono esserci offese al pubblico ufficiale (nell’esercizio o a causa delle sue funzioni) che, quindi, si traducono indirettamente anche nei confronti della Pubblica Amministrazione in generale.

Il grado di offensività delle affermazioni deve essere valutato “alla stregua di canoni di valutazione accolti dalla coscienza collettiva ed accertato in base a criteri etico sociali condivisi” (Cass. n. 8949/1984 e Cass. n. 1191/1985).

Inoltre, appare chiaro che il soggetto che commette l’oltraggio debba essere a conoscenza che si trovi di fronte ad un pubblico ufficiale e che lo stesso stia compiendo un atto d’ufficio.

Ancora, la persona offesa del reato è il pubblico ufficiale, la cui nozione risiede nell’art. art. 357 del Codice Penale: “agli effetti della legge penale, sono pubblici ufficiali coloro i quali esercitano una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa.

Agli stessi effetti è pubblica la funzione amministrativa disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi e caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione o dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi”.

Avv. Flavio Falchi

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