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la scelta di subordinare, mediante la perseguibilità a querela, la persecuzione di certi reati alle determinazioni delle parti private offese risponde ad esigenze di vario ordine, non necessariamente connesse alla minore gravità degli illeciti, e sottende bilanciamenti di interessi e valutazioni di politica criminale spesso assai complesse, rispetto alle quali deve perciò riconoscersi al legislatore un’ampia discrezionalità, non sindacabile da questa Corte se non sia affetta da manifesta irrazionalità;
che nelle scelte operate con la legge n. 689 del 1981, accanto alla ritenuta non rilevante gravità degli illeciti per i quali si é introdotto il regime per la perseguibilità a querela, ha avuto rilievo decisivo la finalità di conseguire, anche per questa via, una significativa deflazione dei carichi giudiziari, strumento necessario – pur se non certo unico – per avviare a soluzione il prioritario problema costituito dall’intollerabile lentezza della giustizia penale;
che in quest’ottica il legislatore, pur senza escludere successivi interventi nello stesso senso, ha ragionevolmente orientato le proprie scelte su reati che, oltre ad essere non gravi, hanno notoriamente una rilevante incidenza sul lavoro giudiziario;
che alla stregua di tale criterio si giustifica che siano stati inclusi nell’area della perseguibilità a querela i reati di cui agli artt. 485 e 640 c.p., e che ne siano stati esclusi, invece, quelli di cui agli artt. 617- ter c.p.p. e 10 della legge n. 1760 del 1928, la cui incidenza statistica é pressoché nulla e che sono d’altra parte posti a garanzia di beni giuridici non omogenei a quelli tutelati dagli illeciti assunti come tertia comparationis;
che, inoltre, non può certo ritenersi irragionevole la scelta del legislatore di mantenere la perseguibilità d’ufficio per un reato posto a salvaguardia dell’ordine economico – e non del solo patrimonio della vittima – quale la frode nell’esercizio del commercio (art. 515 c.p.), che é espressione di un costume commerciale contrario alle regole di probità e buona fede, pericoloso sia nei confronti della massa dei consumatori che degli stessi produttori e commercianti, nei cui confronti esso concretizza una forma di concorrenza sleale;
che infine, una volta che si ritenga giustificata, per le ragioni anzidette, l’introduzione del regime di perseguibilità a querela per il delitto di truffa semplice, un sindacato della Corte su tale scelta legislativa non potrebbe comunque avere ingresso in relazione a talune forme di manifestazione di tale delitto – che il Pretore di Napoli-Barra differenzia dalle altre e ritiene abbisognevole di un regime di perseguibilità d’ufficio – posto che esse non hanno configurazione giuridica autonoma..” ordinanza 294/87 Corte Costituzionale