logo mioChiunque, richiesto da un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, rifiuta di dare indicazioni sulla propria identità personale, sul proprio stato, o su altre qualità personali, è punito con l’arresto fino a un mese o con l’ammenda fino a duecentosei euro (art. 651 codice penale).

Per la configurazione del reato, la richiesta deve essere legittima e, soprattutto, provenire da un pubblico ufficiale, qualifica ormai estesa anche al controllore dei titoli di viaggio (quindi non solo un Carabiniere, Poliziotto, Guardia di Finanza, Militare).

La norma ha la finalità di consentire al pubblico ufficiale nell’esercizio delle proprie funzioni di identificare nell’immediatezza qualsiasi soggetto a cui la richiesta è indirizzata, affinché non venga intralciata la sua attività.

Affinché si consumi il reato, è sufficiente il rifiuto da parte del soggetto a fornire anche solo nome e cognome, a nulla rilevando un eventuale successivo pentimento da parte del soggetto che intende dichiarare le proprie generalità in un secondo momento.

Va da sé che il cittadino non è obbligato a portare con sé un documento identificativo, ma, viceversa, risulta vincolato a dichiarare i propri dati al Pubblico Ufficiale che ne fa richiesta, tenuto conto che, comunque, anche in caso di rifiuto, il soggetto potrà essere portato in Caserma/Commissariato per l’identificazione.

Inoltre, va chiarito che il rifiuto di indicazioni sulla propria identità personale fa riferimento non solo al nome e cognome ma a tutte le ulteriori informazioni richieste per una completa identificazione, come luogo di nascita e residenza.

Infine, la Cassazione ha precisato che anche all’agente venatorio deve essere riconosciuta la qualità di pubblico ufficiale, anche se non svolge attività di P.G., circostanza che implica che il rifiuto di fornire le proprie generalità ad una guardia giurata che agisca nell’esercizio delle funzioni di vigilanza venatoria comporta la consumazione del reato ex art. 651 c.p.
Avv. Flavio Falchi

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