Affinché si configuri il reato di coltivazione di sostanze stupefacenti destinate allo spaccio (come previsto dal DPR n. 309/1990, secondo il quale è punito chi coltiva senza  alcuna autorizzazione le piante comprese nelle tabelle I e II di cui all’articolo 14), è necessario che suddetta coltivazione riguardi una pianta del tipo botanico vietato e che tale attività sia del tutto idonea a recare pregiudizio  alla salute pubblica e ad agevolare la circolazione degli stupefacenti sul mercato.

 

Oggi, secondo la Corte di Cassazione, Sezioni unite penali, come descritto nell’informazione provvisoria n. 27 del Dicembre 2019, la coltivazione di marijuana (da intendersi anche tutte le altre piante da cui sono ricavabili stupefacenti), se destinata al solo consumo personale, non è da considerare reato.

In tale categoria dell’uso personale, sono da intendersi comprese “le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica, che, per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore“.

Nel caso specifico, la Cassazione era stata chiamata ad intervenire su un caso di coltivazione di 2 piante di marijuana (una alta 1 metro con 18 rami, l’altra alta 1,15 metri con 20 rami) ritenendole non idonee a generare un quantitativo di stupefacente tale da favorire il mercato dello spaccio; dunque, il problema è stato posto su di un piano di offensività in concreto, il che ci porta a ritenere che per configurare il reato penale deve esserci pericolo di aumento e diffusione della sostanza, attraverso tecniche di coltivazione e conservazione più elaborate, per poi destinare il prodotto a terzi.

Per ritenere, invece, l’uso personale della coltivazione (che esclude il reato penale, ma non l’illecito amministrativo con conseguente sanzione amministrativa) deve ricorrere l’assenza di offensività della condotta, ovvero una coltivazione così lieve da essere idonea a generare un irrilevante aumento di quantità di droga, ovvero un quantum per il quale non può ritenersi possibile lo spaccio.

Dunque “l’avere coltivato due piantine, senza alcuna ragione di ritenere che i ricorrenti avessero altre piante non individuate e, quindi, essendo certo che quanto individuato esauriva la loro disponibilità senza alcuna prospettiva di utile distribuzione in favore di terzi consumatori, non è in concreto una condotta offensiva per le ragioni anzidette” cfr. Cassazione penale, VI sez., n. 5254/2016.
Avv. Flavio Falchi

 

 

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