CASSAZIONE, Sent. n. sez. 14/2023

 

“vi è da evidenziare come, per quel che rileva in
questa sede, il fenomeno della modifica del regime di procedibilità di alcune figure di
reato, sovente generato da aspirazioni di tendenziale “deflazione” del carico penale
gravante sul sistema giudiziario nel suo complesso, non è inconsueto e, anzi, di recente,
ha interessato una serie di fattispecie delittuose, la procedibilità delle quali è stata
trasformata da officiosa ad iniziativa di parte e delle quali le Sezioni Unite della Corte di
cassazione hanno già avuto modo di occuparsi.
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Come noto, infatti, in occasione dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 36 del 10 aprile 2018,
è stato affermato che, in tema di condizioni di procedibilità, con riferimento ai reati
divenuti perseguibili a querela per effetto di discipline normative sopravvenute ed ai
giudizi pendenti in sede di legittimità, l’inammissibilità del ricorso esclude che debba darsi
alla persona offesa l’avviso previsto per l’eventuale esercizio del diritto di querela (cfr.
Sez. U, n. 40150 del 21/6/2018, Salatino, Rv. 273551).
All’esito di un’analisi della giurisprudenza di legittimità che ha costruito, nel corso degli
anni, il paradigma del rapporto tra inammissibilità e “giudicato sostanziale”, indicando,
progressivamente, le eccezioni alla regola del formarsi di quest’ultimo, invalicabile
passaggio decisorio (i passaggi fondamentali del percorso ermeneutico disegnato dalle
Sezioni Unite si ritrovano, tra tutte, nelle sentenze Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, dep.
2001, D L, Rv. 217266; Sez. U, n. 23428 del 22/3/2005, Bracale, Rv. 231164; Sez. U,
n. 33040 del 26/2/2015, Jazouli, Rv. 264207; Sez. U, n. 46653 del 26/6/2015, Della
Fazia, Rv. 265111; Sez. U, n. 47766 del 26/6/2015, Butera, Rv. 265107; Sez. U, n.
12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266818; oggi, alla teoria appena esposta,
si aggiunge Sez. U, n. 38809 del 31/3/2022, Miraglia, Rv. 283689), le Sezioni Unite
hanno chiarito che:
a) deve escludersi che la sopravvenienza della procedibilità a querela e, ancor prima, la
procedura finalizzata all’eventuale accertamento dell’improcedibilità per mancanza di
querela a seguito dell’esito negativo della informativa data alla persona offesa (secondo
il meccanismo transitorio per il “recupero” eventuale della potestà della parte privata di
richiedere l’esercizio dell’azione penale previsto dalla novella del 2018), possano essere
ritenute idonee ad operare come una ipotesi di abolitio criminis (e finalizzazione
all’accertamento di abolitio criminis), capace di prevalere sulla inammissibilità del
ricorso;
b) la sopravvenuta eventualità della improcedibilità, dovuta all’abbandono del regime di
perseguimento di ufficio del reato, non opera come la richiamata ipotesi abrogativa, la
quale è destinata ad essere rilevata anche in sede esecutiva, mediante la revoca della
sentenza ai sensi dell’art. 673 cod. proc. peri. e per tale ragione – essenzialmente di
economia processuale – è stata ritenuta dalla giurisprudenza apprezzabile anche in fase
di cognizione ed in presenza di ricorso inammissibile.
E’ da escludere, infatti, sottolinea la sentenza Salatino, che il giudice dell’esecuzione
possa revocare la condanna rilevando la mancata integrazione del presupposto di
procedibilità, sicchè, anche nel giudizio di legittimità, la mancanza di tale condizione
viene comunemente trattata come una questione di fatto, soggetta alle regole della
autosufficienza del ricorso (Sez. 6, n. 44774 del 08/10/2015, Raggi, Rv. 265343) ed ai
limiti dei poteri di accertamento della Cassazione (Sez. 3, n. 39188 del 14/10/2010, S.,
Rv. 248568). “

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